15 agosto 1971: fine degli accordi di Bretton Woods
(Articolo di Fabrizio Annaro)
Fine della convertibilità dollaro oro. 15 agosto 1971 una data storica, un giorno che segna una svolta cruciale nella storia economica mondiale. A Camp David, Nixon, stremato dalle spese per la guerra del Vietnam, annuncia la fine della convertibilità del dollaro in oro. E’ la fine di Bretton Woods, il sistema monetario globale siglato nel 1944 nell’omonima cittadina americana dagli stati vincitori della II guerra mondiale. Alla conferenza di Bretton Woods avevano aderito molti paesi, anche quelli poveri e i cosiddetti paesi in via di sviluppo. Bretton Woods era stato pensato per arginare e prevenire le crisi sistemiche come quella del ’29 e prevedeva un sistema di cambi valutari fissi tutti riferiti al dollaro. Le banche centrali di ciascun paese erano tenute ad intervenire, per mantenere le parità stabilite.
Stabilizzare i cambi significava impedire movimenti eccessivi di capitali, in sostanza arginare la speculazione, evitare gli eccessi. Oltre ai cambi fissi Bretton Woods prevedeva la convertibilità dollaro oro. Alla conferenza di Bretton Woods, che fu un capolavoro di diplomazia, collaborarono i più autorevoli economisti dell’epoca. Keynes, economista inglese critico della visione liberista, fu uno degli artefici degli accordi. Ispirato dalla storia del sistema monetario, in particolare dalla Firenze del 1300, che prevedeva un valore di conversione fra oro e fiorino, Keynes propose, con successo, di fissare il dollaro all’oro in modo da stabilizzare il sistema, disincentivare le speculazioni, impedire crisi simili a quella del ’29. In pratica possedere un dollaro significava possedere oro.
La convertibilità oro – dollaro impediva agli Stati Uniti e a ogni paese di creare moneta a proprio piacimento, per farlo dovevano possedere oro in proporzione alla nuova moneta emessa. Per finanziare la guerra del Vietnam gli americani utilizzarono 12 mila tonnellate d’oro con grave rischio per le riserve auree. Fu così che Nixon decise di abbandonare la corrispondenza oro – dollaro e di passare direttamente a stampare moneta allo scopo di finanziare la guerra in Indocina. Il sistema valutario da organizzato e sicuro si è trasformato in un mondo senza certezze. Oltre ai cambi fissi, gli accordi di Bretton Woods istituirono il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, enti a cui è affidato il compito di vigilare sul sistema monetario e concedere prestiti ai paesi in disavanzo.
La perdita della convertibilità fra oro e dollaro rappresenta, forse, la premessa principale che ha condotto alla crisi finanziaria dei nostri tempi. Le libere fluttuazioni valutarie, la fine del riferimento aureo del dollaro, hanno legittimato la visione di un mercato valutario e finanziario senza limiti, senza vincoli, senza regole, un mercato dove l’unica legge è quella del massimo profitto. La fine di Bretton Woods ha segnato l’inizio di un periodo di grande instabilità valutaria, di speculazioni finanziarie, ma soprattutto la libertà per le banche centrali, in particolare la Federal Reserve, di creare moneta e generare valori che alimentavano i mercati finanziari e sporadicamente la produzione e il lavoro.
La fine di Bretton Woods è la fine del limite, il via libera ad ogni eccesso considerato dalla cultura fonte di benessere e di progresso. Un’idea smentita dalla crisi del 2009 e dalla mancanza di sostenibilità ambientale e finanziaria.
Riserva aurea degli stati
(Fonte Wikipedia)
La bolla speculativa dei tulipani
(Fonte Consob)
La bolla dei tulipani nel 1637 fu la prima grande crisi finanziaria innescata dall'utilizzo di strumenti finanziari con finalità speculative e coinvolse tutto il sistema economico europeo di quei tempi.
Nella seconda metà del 1500 i bulbi di tulipano iniziarono ad essere esportati dalla Turchia in Europa e l'Olanda fu il paese che si fece promotore della loro diffusione. Negli ultimi anni del 1500 la coltivazione del tulipano fu avviata nei Paesi Bassi. Le varietà meno comuni di questo fiore vennero rapidamente considerate come merce di lusso, altamente desiderate presso la borghesia e i ricchi mercanti (si parlò di "mania dei tulipani"), e scambiate, a prezzi crescenti, alla borsa valori di Amsterdam e nelle aste delle varie città olandesi, tra cui Haarlem. All'epoca si arrivò a considerare il bulbo del tulipano come un solido investimento, in quanto rappresentava un "concentrato di fiori futuri"; venne quindi utilizzato come un'embrionale forma di "future" sul tulipano.
L'espansione commerciale dell'Olanda favorì lo sviluppo di questa bolla: i fioristi iniziarono a prenotare in anticipo ai contadini i bulbi attraverso l'utilizzo di contratti con prezzi fissati ex-ante da onorare a scadenza.
In altre parole, si negoziavano i "diritti sul bulbo", cioè i futures di tulipani, pagando subito solo un acconto del prezzo finale e corrispondendo il saldo alla consegna del bulbo fiorito. I prezzi ben presto ebbero un andamento del tutto slegato dalla realtà. Si arrivò addirittura a vendere immobili per poter acquistare i diritti sui bulbi più grandi e pregiati.
Gli acquisti con consegna futura del bulbo erano effettuati solo allo scopo di partecipare al "gioco al rialzo" dei prezzi così da potere lucrare, attraverso la vendita, sull'incremento indotto dei prezzi medesimi. In tal modo, si costruì e continuo a crescere la bolla dei tulipani.
La bolla dei tulipani culminò nella famosa asta di Alkmaar del 5 febbraio 1637, in cui centinaia di lotti di bulbi furono venduti per un ammontare monetario di 90.000 fiorini (l'equivalente di circa 5 milioni di euro), ossia ciascun bulbo venduto al prezzo medio pari al reddito di oltre un anno e mezzo di un muratore dell'epoca.
Nei giorni immediatamente successivi, la febbre dei tulipani si tramutò all'improvviso in panico: fu sufficiente che ad Haarlem un'asta di bulbi andasse deserta per provocare il c.d. panic selling incontrollato e far precipitare i prezzi di mercato in tutto il paese. Nonostante gli sforzi degli operatori, la domanda per le varietà considerate prima nuove e attraenti divenne rarefatta e largamente insufficiente a sostenere le forti richieste di vendite: il mercato dei tulipani crollò del tutto e le negoziazioni s'interruppero. In una tale situazione, chi aveva acquistato attraverso i contratti (futures) i bulbi (i fioristi) si ritrovò vincolato contrattualmente a pagarli una cifra notevolmente più elevata rispetto ai prezzi reali del momento, a vantaggio dei contadini (che possedevano i bulbi) che possedendo i contratti futures avevano il diritto di percepire prezzi elevatissimi per dei bulbi che ormai non valevano quasi più nulla.
Indice dei prezzi standard per i contratti dei bulbi, con il brusco crollo in febbraio.
NB: Mancando i dati tra il 9 febbraio e il 1º maggio,
la forma esatta del grafico del ribasso non è nota.
La lobby dei fioristi, gravemente colpita, in questo periodo indusse la giustizia delle Provincie unite olandesi a decretare la trasformazione dei contratti a termine (i futures) in contratti di opzione. In questo modo il detentore del contratto (in questo caso il fiorista o il commerciante) fu autorizzato a non onorare l'impegno (nei confronti dei contadini o coltivatori) pagando solo una penalità pari al 3,5% del prezzo pattuito, anziché essere obbligato a comprare a prezzi elevatissimi un bulbo che in quel momento aveva un valore di mercato largamente inferiore a quanto previsto nel contratto originario.
Questa bolla può essere assolutamente considerata il primo grande crack finanziario della storia.
La crisi del '29
(Tratto da J.K. Galbraith, Il grande crollo, Ed. BUR (2009))
La grave crisi economico-finanziaria del 1929, iniziata negli Stati Uniti d'America, sconvolse l'economia mondiale dalla fine degli anni venti fino a buona parte del decennio successivo, con devastanti ripercussioni sociali e politiche.
Vediamo di spiegare le cause remote di questa crisi, la dinamica e le conseguenze.
Il boom economico che gli USA avevano sperimentato quasi ininterrottamente dall'inizio della prima guerra mondiale, rappresentato da una forte espansione del Prodotto Interno Lordo grazie alle numerose innovazioni tecnologiche (radio, telefono, energia elettrica), allo sviluppo dell'industria automobilistica, alla rapida crescita di settori come quello del petrolio e alla conseguente espansione del settore delle costruzioni di uffici, fabbriche e case, aveva costituito il motore del rialzo dell'indice azionario Dow Jones relativo al settore industriale a partire da metà 1922, riflettendo l'acquisita supremazia economica nel mondo.
Nel periodo che va dal 1922 al settembre 1929 (apice della bolla azionaria della Borsa Valori di New York, detta Wall Street), l'indice azionario in parola era passato da 63,0 a 381,17 ossia aveva registrato un incremento di circa il 500%, numero che esprime bene il senso di entusiasmo diffuso dei c.d. "ruggenti anni-venti" (roaring twenties) degli americani.
Il crollo dell'indice di Wall Street avvenuto il 24 ottobre del 1929 (noto come il giovedì nero di Wall Street), in cui 13 milioni di azioni furono vendute senza limite di prezzo, e seguito da un secondo a breve distanza di tempo il 28 ottobre e un terzo il 29 ottobre (martedì nero) con circa 16 milioni di azioni vendute in un solo giorno, diede origine ad un fenomeno di vendite incontrollate di azioni da parte di investitori privati desiderosi di disfarsene.
Il Dow Jones Industrial Average subì una flessione del 40% in un mese e il panico si diffuse a macchia d'olio: fu l'inizio di un ciclo economico altamente recessivo su scala mondiale.
La crisi affonda le sue radici in una politica monetaria fortemente espansiva della Riserva Federale, a partire dalla primavera del 1927, che rese disponibili a banche e individui una massa rilevante di liquidità, impiegata in larga parte in acquisto di azioni quotate a Wall Street da parte di privati anche per il tramite di investment trust.
Dall'inizio del 1928 la speculazione sui titoli azionari alimentò un boom senza precedenti nei volumi di azioni giornalmente compravendute e rese possibile l'innescarsi di una spirale di rialzi dei prezzi, sospinta dalla immaginifica rappresentazione di prospettive floride di crescita economica e da conseguenti aspettative irrealistiche di profitti futuri delle società industriali. Un senso di forte fiducia circa lo stato dell'economia era largamente diffuso tra la gente comune e questo costituiva il propellente del comportamento degli investitori-speculatori.
Il grande economista statunitense, John K. Galbraith, descrive - con grande efficacia - questo "clima psicologico" di ostentato (e artificioso) ottimismo economico che si era creato all'epoca:
"Affermando solennemente che la prosperità continuerà, si può contribuire, così si crede, ad assicurare che la prosperità effettivamente continui. Specialmente fra gli uomini d'affari è grande la fede nell'efficacia di tale formula magica".
Un elemento importante della dinamica di costruzione della "bolla" azionaria è da rintracciare nella tecnica di acquisto delle azioni tramite contratti di "riporto", ossia tramite contratti conclusi dagli investitori privati con gli operatori di borsa (i c.d. agenti di cambio) in forza dei quali quest'ultimi fornivano ai propri clienti a prestito la liquidità necessaria agli acquisti di titoli ricevendo a garanzia i titoli medesimi, con l'obbligo di restituzione del prestito stesso a scadenza ravvicinata (tipicamente, un mese). Gli operatori di borsa a loro volta si finanziavano presso le banche portando a garanzia i titoli azionari consegnati loro dai propri clienti "a riporto".
Questo circuito finanziario "perfetto" costituito da Riserva Federale-banche-operatori di borsa-investitori privati - che connetteva "armoniosamente" finanziamenti ad acquisti di titoli azionari - si reggeva sul presupposto che gli incrementi di prezzo dei titoli medesimi registrati sul mercato di Wall Street fossero superiori ai tassi d'interesse sui prestiti concessi nel periodo di riferimento (tassi che raggiunsero il livello massimo del 20% su base annua nel giugno del 1929).
Ma come si verifica in tutte le situazioni di "bolla finanziaria", basate su speculazione ed euforia, il mercato prima o poi torna in equilibrio e questo accade con una spinta emotiva alle vendite incontrollate pari d'intensità, ma di segno opposto, a quella che ne sorregge gli acquisti in precedenza; in poche parole, l'euforia che origina la bolla viene ad essere seguita da fenomeni di panico che ne decretano lo scoppio.
Nel marzo del 1929, i segnali di un possibile crollo del mercato borsistico erano stati avvertiti dalla Riserva Federale che pur decise di non agire. Nel settembre dello stesso anno, l'indice di borsa iniziò a muoversi in modo irregolare con una tendenza al ribasso. Quando nell'ottobre del 1929 si assistette ad una brusca correzione dei prezzi azionari registrati a Wall Street, gli investitori furono presi dalla paura di un inizio della corsa al ribasso dei prezzi e, di fatto, resero effettive le loro più nere aspettative affluendo freneticamente sul mercato per vendere azioni fino a generarne il tracollo in preda al panico.
Gli operatori di borsa iniziarono a richiedere maggiori garanzie per i prestiti concessi ai propri clienti.
La liquidazione delle azioni rispondeva anche alla necessità degli speculatori di rientrare dai finanziamenti concessi per l'acquisto dei titoli. La forte esposizione delle banche sul mercato azionario - per effetto dei crediti concessi agli operatori di borsa - indusse i risparmiatori, intimoriti dalle ripercussioni sui propri depositi, a richiederne il ritiro, dando luogo ad una vera e propria "corsa agli sportelli" (bank run). In queste circostanze, la Bank of the United States, ritenuta un colosso del tempo – contando sui depositi di oltre 400.000 risparmiatori – fu una delle prime banche a dichiarare bancarotta.
Cosa assai grave, la crisi si era estesa alla borsa merci: i prezzi di prodotti agricoli, del cotone e delle materie prime non agricole crollarono. L'indice generale della produzione industriale registrò una flessione: ciò significava che la produzione di acciaio e ghisa, di carbone, di automobili e così di altri manufatti scendeva.
Spieghiamo il perché questa crisi ha origini nell'economia reale e che il crollo di Wall Street operò in realtà come detonatore di una situazione economica generale assai fragile e scompensata. La contrazione dell'economia statunitense a partire dagli inizi del 1929 ha origini nella seconda parte degli anni Venti quando si registra una diffusa, ancorché moderata, riduzione dei prezzi dei beni agricoli e, in parte, dei manufatti, dovuto al notevole incremento della produzione connessa all'uso intensivo delle moderne tecniche e dell'energia a basso costo. La sovra-produzione agricola, prima, e industriale, poi, che si era venuta a generare, era anche frutto di una più ridotta capacità degli Stati europei d'importare beni e prodotti da oltre Atlantico per effetto delle conseguenze della Guerra.
La risposta governativa negli Stati Uniti alla riduzione di domanda e prezzi dei beni agricoli fu primariamente tesa a "difendere" il settore agricolo con una politica protezionistica di dazi. Questa risposta fu estesa nel giugno del 1930 anche agli altri settori che via via entrarono in crisi.
L'approccio protezionistico si rafforzò quindi a seguito del crollo di Wall Street dell'ottobre del '29 e la sua estensione a livello di tutti i paesi esportatori (anche europei) portò a un collasso del commercio internazionale.
La Grande Depressione, che ne conseguì, ebbe effetti recessivi devastanti ad ampio spettro geografico (America del Nord, America del Sud e Europa) sotto diversi profili: anche i prezzi dei prodotti industriali subirono una drastica pressione al ribasso dalla contrazione della domanda, determinando gravi difficoltà per le imprese nel far fronte ai loro debiti e alimentando la contrazione del commercio internazionale e di conseguenza dei redditi dei lavoratori, del reddito fiscale, dei prezzi e dei profitti.
Nello specifico della situazione degli USA, il tracollo economico e finanziario mise in ginocchio centinaia di migliaia di americani, con il fallimento di numerose aziende, l'incremento vertiginoso della disoccupazione (oltre il 25% della popolazione attiva) e una severa contrazione del reddito. In ultimo, le esigenze nazionali spinsero gli istituti finanziari degli Stati Uniti a richiamare i prestiti erogati all'estero (30 miliardi di dollari) estendendo gli effetti recessivi della crisi su scala mondiale.
Sito: 7ecnologie
Sezione: 15. Blockchain e Bitcoin
Capitolo: 01. Introduzione
Paragrafo: 01. Il sistema monetario
Indice dei capitoli: 00. Risorse - 01. Introduzione - 02. Concetti generali - 03. Costruzione della Blockchain - 04. Gestione del portafoglio - 05. Evoluzioni: smart contract e NFT - 06. Sostenibilità ambientale
Indice dei paragrafi: 01. Il sistema monetario - 02. L'analisi tecnica - 03. Bitcoin: bolla speculativa o opportunità?